La territorialità Iva delle prestazioni di logistica varia in ragione dei diversi accordi contrattuali tra committente e prestatore, con potenziali enormi rischi per le imprese di magazzinaggio, stoccaggio, movimentazione e sdoganamento che operano in favore di soggetti non italiani.
Sono queste le conclusioni della Risposta all’interpello n. 69 del 2020 che, a seguito di una istanza presentata da una società italiana che, fra gli altri, rende servizi di logistica anche a clienti non residenti, ha precisato che se contrattualmente è previsto che il committente non ha alcun diritto di utilizzare in tutto o in parte i beni immobili in cui è svolta la prestazione, il servizio di logistica si qualifica come servizio generico, dunque non imponibile ai fini IVA.
Ma il diritto di utilizzo è un concetto ampio e generico, da intendersi realizzato anche in forma indiretta, ogniqualvolta, cioè, il committente abbia individuati ed esclusivi locali di stoccaggio, partecipi alle operazioni di magazzino, le coordini attivamente o, ancora, abbia particolari riserve di tipo contrattuale che, pur rivolte a garantire la continuità di servizi, possono essere lette come clausole di riserva sugli immobili, rendendo dunque imponibile il servizio di logistica.
In tema di territorialità IVA, infatti, si ricorre alla regola generale contenuta nell'art. 7-ter del DPR 633/72, secondo cui l'imposta è dovuta nello Stato in cui è stabilito il committente, almeno per i rapporti B2B. Tale regola, tuttavia, trova una deroga per i servizi immobiliari, che sono tassabili nel luogo in cui è situato l'immobile, a nulla rilevando lo status di soggetto passivo o meno del committente (art. 7-quater del DPR 633/72).
Ebbene, l’oggetto del quesito posto dall’Istante era proprio quello di determinare se il servizio di logistica, in quanto reso inevitabilmente con l’utilizzo di un magazzino, rientrasse o meno nei servizi generici ovvero fosse assimilabile ad un servizio relativo a bene immobile.
La norma unionale, infatti, individuando all’art. 31-bis del Reg. n. 282/2011 una serie di servizi che possono essere considerati relativi a beni immobili in quanto presentano un nesso sufficientemente diretto con gli stessi, ovvero sono essenziali ed indispensabili per la prestazione, annovera proprio il magazzinaggio di merci.
L’Agenzia delle entrate nella risposta all’interpello, richiamando la normativa interna e quella unionale, nonché la giurisprudenza della Corte di Giustizia, nonché dalle Note esplicative della Commissione Europea, ha dato però centralità agli accordi contrattuali ed in particolare alla previsione concernente l’utilizzo del bene immobile in cui viene stoccata la merce oggetto del servizio logistico.
La Corte di Giustizia ricorda, infatti, che un ampio numero di servizi si riferisce a un bene immobile, tuttavia solamente l’assegnazione di una parte specifica dello stesso ad uso esclusivo del destinatario qualifica il servizio reso come un servizio relativo a bene immobile. Con riferimento allo stoccaggio delle merci, è lo stesso legislatore unionale che ne esclude il novero dai servizi relativi a beni immobili se i beneficiari della prestazione non hanno alcun diritto di accesso alla parte dell'immobile in cui sono stoccate le loro merci o l’immobile nel quale le medesime sono stoccate non costituisce un elemento centrale e indispensabile della prestazione di servizi.
Alla luce di questa importante posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, appare opportuno per tutte le aziende che prestano o ricevono servizi di questo genere, revisionare i propri accordi contrattuali nella logica dell’interpello, al fine di verificare se gli stessi rientrano nelle disposizioni dell’art. 7-ter ovvero del 7-quater del DPR 633/72.
Avv. Ettore Sbandi – Studio Legale Tributario Santacroce & Partners