04/07/2016

BREXIT tra fisco e dogana

Nel recente referendum svoltosi in Gran Bretagna ha vinto la volontà del popolo britannico di uscire dalla UE e tale scelta comporta una serie di implicazione fiscali che impattano notevolmente sulle imposte dirette e indirette vigenti all’interno dell’Unione e di conseguenza all’interno dello stesso Regno Unito. A poche ora dall'uscita, che di fatto, in base all’art 50 del trattato sul funzionamento dell’UE, dovrebbe concretizzarsi non prima di due anni, il primo pensiero va alla determinazione dell’Iva, nonché agli impatti daziari gravanti sulle merci in entrata ed in uscita dal Regno Unito. Entrambi gli aspetti oggi sono, ovviamente, regolamentati dall’Unione Europea. 


Cosa prevede l'Unione Europea
Infatti, per quanto concerne l’Iva, la VI direttiva determina le linee guida dentro il quale si delimita il campo di azione di uno Stato membro; per quanto concerne i dazi doganali è opportuno ricordare che sono disciplinati dall’adozione della tariffa doganale comune (Reg.to (CEE) n. 2658/87), la quale stabilisce l’aliquota daziaria applicabile in maniera uniforme in tutti i Paesi dell’Unione per la merce acquistata fuori da essa.
I dazi, considerati, risorse proprie della UE, potrebbero diminuire drasticamente, modificando il potere di azione degli Stati membri e costringendo il Regno Unito ad avere un proprio sistema di tassazione daziaria ed una propria classificazione tariffaria delle merci, non essendo più applicabile il Reg.to (CEE) n. 2658/87. Al fine di gestire correttamente l’uscita del Regno Unito dalla UE e ridurre l’impatto economico e finanziario gravante sui cittadini e sugli investitori, è opportuno riflettere sulle possibili alternative adottabili dalle parti per diminuire le conseguenze, se non altro sottovalutate in fase di referendum.  


Quali le soluzioni adottabili dal Regno Unito
Diverse sono le soluzioni che Il Regno Unito potrebbe adottare una volta concretizzatasi l’uscita dalla UE, tutte riconducibili a situazioni già esistenti e collaudate:
a) La negoziazione di un accordo bilaterale: il modello Svizzera.
Gli Accordi bilaterali con l'UE in genere offrono un accesso limitato al mercato.
Sono volti per lo più a creare una unione doganale oppure ad abbattere immediatamente o gradualmente le barriere tariffarie e non tariffarie dietro presentazione di un certificato che attesti l’origine preferenziale delle merci (Certificato EUR 1), in assenza del quale i dazi verrebbero corrisposti nella misura piena.
Anche in questo caso è garantita la libera circolazione delle persone.
b) L’accordo di libero scambio avanzato: il modello Canada.
L’accordo economico e commerciale globale (CETA) è un trattato tra l’UE e il Canada negoziato di recente. Una volta applicato, offrirà alle imprese europee nuove e migliori opportunità commerciali in Canada e sosterrà la creazione di posti di lavoro in Europa. L’accordo affronta una serie di questioni per agevolare gli scambi commerciali con il Canada: elimina i dazi doganali, pone fine alle limitazioni nell’accesso agli appalti pubblici, apre il mercato dei servizi, offre condizioni prevedibili agli investitori e, cosa non meno importante, contribuisce a prevenire le copie illecite di innovazioni e prodotti tradizionali dell'UE.
c) L'adesione al SEE (Spazio Economico Europeo): il modello Norvegia.
Il SEE si base sull’adozione delle 4 libertà fondamentali: libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. 
La Norvegia (nonché Islanda e Liechtenstein) è uno Stato membro dello Spazio economico europeo (SEE), ma non fa parte della UE. Tale modello consente l'accesso al mercato unico a patto che vengano rispettati una serie di obblighi previsti, tra l’altro, per gli stessi Stati membri, come ad esempio i contributi finanziari, pur non avendo diritto di voto.  La merce viaggia con un documento doganale comunitario (EU), i prodotti industriali possono essere commercializzati liberamente in tutti gli altri Stati aderenti al SEE. I dazi sono aboliti e le regole di origine sono armonizzate; le persone girano liberamente, avendo essa aderito all’area Schengen. L’accordo SEE non prevede il libero commercio dei prodotti agricoli, non è un’unione doganale con una tariffa doganale comune e non persegue una politica commerciale comune.
In un’ottica di salvaguardia del funzionamento dell’Unione, sarebbe auspicabile che una delle ipotesi sopra elencate venga messa in atto dalle parti, al fine di agevolare gli scambi commerciali e la ripresa del mercato.


L’imposizione daziaria, le possibili mosse della Ue
Attualmente l’imposizione daziaria è disciplinata da direttive e regolamenti comunitari: è la UE infatti che decide le aliquote daziarie applicabili su tutto il territorio comunitario,adottando una tariffa doganale comune. I dazi doganali, già secondo quanto indicato dal Trattato di Roma, essendo percepiti sulle importazioni alle frontiere esterne, erano e rimangono la prima risorsa da attribuire alla UE per il finanziamento delle sue spese, ovvero sono considerati risorse proprie. All’ufficializzazione dell’uscita dalla UE, qualora non venga adottato nessun accordo specifico, il Regno Unito potrebbe incamerare al suo interno i dazi che diverrebbero risorse proprie tradizionali dirette dello Stato stesso, il quale ne disporrebbe in piena autonomia gestionale. Oltre al dazio, è opportuno considerare quali impatti e/o modifiche subirebbero le autorizzazioni concesse a livello comunitario alle imprese, si pensi, ad esempio, all’autorizzazione AEO oppure all’autorizzazione Unica Integrata, allo sdoganamento centralizzato, oppure semplicemente ai bollettini di informazione (INF) nel traffico di perfezionamento attivo e passivo, oggi regolamentati esclusivamente dal nuovo Codice dell’Unione (Reg.to (UE) n. 952/13). 
È presumibile pensare che nei due anni preparatori all’uscita definitiva tale regolamento continuerà ad essere applicato, in attesa della pubblicazione di norme transitorie che preparino gli Stati membri ed il resto del mondo ad instaurare o continuare rapporti economici con il Regno Unito e che disciplinino tali rapporti, le autorizzazioni e le prassi commerciali in essere prima e dopo il referendum.  


Possibile unione doganale UE-UK
Altro aspetto da considerare è quello degli accordi di partenariato economico (Free Trade Agreement) conclusi ad oggi dalla UE.
La UE ha stretto accordi di libero scambio basati sul sistema dell’origine preferenziale, bilaterali o unilaterali, con circa 37 Paesi o gruppi di Paesi, consentendo un beneficio in termini economici alle importazioni da e verso i Paesi accordatari. La concretizzazione dell’uscita vorrebbe dire per il Regno Unito la perdita dei benefici degli accordi, con la conseguente necessità di avviare negoziati indipendenti con tali Paesi. Attività sicuramente fattibile, ma che richiede negoziazioni che potrebbero durare anni, gravando inevitabilmente sulle aziende produttrici o acquirenti che fino ad oggi hanno importato ed esportato godendo di benefici daziari o, più banalmente, hanno disegnato flussi di pianificazioni doganale e di approvvigionamento da e verso Paesi aventi una tassazione daziaria nulla o ridotta. La soluzione auspicabile, riducendo se non altro i rischi per i produttori/venditori, sarebbe la costituzione di un’unione doganale tra UE e Regno Unito. Con l’unione doganale i dazi verrebbero eliminati, le norme di origine rimarrebbero identiche tra i due contraenti e verrebbe adottata la medesima tariffa doganale comune, con l’unico vincolo di produrre una dichiarazione doganale di importazione ed esportazione ad ogni movimentazione di merce, come, per altro, avviene con la Turchia. Ovviamente, così come per il dazio, anche per la merce soggetta ad accisa sarà necessario un intervento. Verosimilmente l’accisa verrà assolta all’atto dell’importazione della merce.


La fiscalità interna: l’Iva
Sotto l’aspetto fiscale, sicuramente l’impatto più evidente è presumibile nel campo dell’Iva, seppur imposta non pienamente armonizzata: l’uscita del Regno Unito dalla Ue farà venire meno l’applicazione della disciplina dell’Iva intracomunitaria, non essendo più configurabile, nei rapporti con la UE, alcuna cessione ex art. 41, D.L. n. 331/93, considerando a tutti gli effetti la merce come esportata ai sensi dell’art. 8, D.P.R. n. 633/72. L’operazione costituirà plafond all’atto dell’esportazione dall’Italia verso il Regno Unito e viceversa l’Iva sarà assolta in dogana all’atto dell’importazione, ai sensi dell’art. 67, D.P.R. n. 633/72. Il Regno Unito, pertanto, non dovrà rispettare i limiti impartiti dall’UE, la quale, seppur in parte marginale, considera l’Iva come risorsa propria e avrà libertà di determinare aliquote ridotte o più elevate, a seconda delle dinamiche economiche interne al Paese. 


Le imposte dirette
Le imposte dirette non sono regolamentate da accordi comunitari, ma sono gestite direttamente dalla legislazione nazionale dello Stato di appartenenza. Vi sono numerose direttive comunitarie, tuttavia, che regolamentano alcuni aspetti di portata generale, come, ad esempio, le politiche di transfer pricing o di applicazione delle royalties oppure ancore le direttive che regolano la mutua assistenza amministrativa tra gli Stati, sia ai fini fiscali che doganali. Ebbene, all’uscita del Regno Unito dalla UE tali direttive perderanno efficacia e sarà rimessa al governo inglese la possibilità di creare una legislazione nazionale che disciplini tali punti. È altrettanto vero che, qualora il Regno Unito decidesse di aderire al SEE molte di queste direttive tornerebbero ad essere applicabili senza nessun intervento nazionale. Così come è opportuno ricordare che il Regno Unito è parte si accordi internazionali, quali, ad esempio, l’OCSE, che continuerebbe a garantire la crescita e la stabilità economica del Paese.


Lucia Iannuzzi di C-TRADE

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