24/05/2013

Trasporto marittimo, di nuovo calma piatta. Di Giovanna Visco

Dopo due settimane di concitata informazione sul dramma genovese, è ricaduta la calma piatta di sempre. Eppure qualcosa avrebbe dovuto continuare a soffiare per quelle 9 persone che, in un medesimo attimo, non sono più. A loro dedico queste poche riflessioni. Penso possa essere utile partire da una premessa geopolitica, richiamando il fatto che l’Italia è stretta e lunga di montagne (una criticità per il trasporto su ferro), eccetto la Pianura Padana, dove l’ampia estensione orizzontale ha favorito lo sviluppo industriale di un bacino produttivo di rilevanza economica europea, sebbene nel Paese ci siano imprese manifatturiere ed agricole sparse ovunque e livelli di antropizzazione residenziale tali che rendono abitate le altitudini alpine così come le più piccole isole. Tenendo a mente queste caratteristiche mi sembra altrettanto utile richiamare all’attenzione che i porti li fanno i mercati terrestri della produzione e del consumo e non gli armatori. Se questa semplice osservazione ben lo ricordano le merci rinfuse, sembrerebbe che così non sia per il traffico containers, che di per sé, non è merce ma una forma di “imballaggio" estremamente funzionale a quei processi produttivi delocalizzati rispetto alle aree di consumo. Se si tiene conto che l’UE è un’economia matura, cioè arrivata demograficamente al suo punto massimo, mentre in quei Paesi che oggi producono parte dei consumi europei sta crescendo una massa enorme di consumatori, il baricentro commerciale derivato del trasporto containers di sposta. Dunque, guardando alla portualità, queste premesse comportano riflessione e scelte politiche su come migliorare il nostro export piuttosto che il nostro import. A questo va aggiunto anche l’inquietante prospettiva non tanto remota di navigabilità dell’Artico, che farà dimenticare al Mediterraneo molti traffici. Questo insieme di fattori allora, rende strategico ed ineludibile l’accorpamento di molte Autorità portuali, riducendone così il numero complessivo, per ottimizzarne le specializzazioni, la destinazione d’uso degli spazi (limitati), risparmiare sui costi di gestione, investire per lo sviluppo con criterio logistico e senza duplicazioni inutili a poche miglia di distanza. E’ necessario dotarsi di un piano di riferimento nazionale di logistica, in cui il trasporto ne sia un derivato e non una componente paritaria, e che tenga conto che il nostro territorio, per le ragioni sopra accennante, non ha una naturale propensione ai corridoi, pur importanti perché finanziati dall’UE, ma una distribuzione insediativa, produttiva e residenziale, assolutamente unica in Europa, il cui punto di forza è l’essere circondata dal mare. Considerando ciò e l’economia reale internazionale, la portualità italiana può crescere ancora, ma solo se si guarda all’export e ad una nuova legge sui porti che si preoccupi principalmente di questo. Poi c’è l’autonomia finanziaria che è una condizione, ma non la principale, per lo sviluppo portuale. I programmi infrastrutturali di adeguamento e crescita di banchine, fondali e piazzali per la sicurezza, per limitare l’impatto sull’ambiente circostante, per abbassare i costi di produzione aumentando la produttività degli spazi, per diminuire i tempi dei controlli sulle merci - e non per decongestionare i traffici perché qualsiasi porto che funzioni necessariamente è congestionato - non possono essere autodeterminati dalle singole Autorità portuali, che invece, proprio in virtù dell’autonomia finanziaria, dovrebbero fondamentalmente provvedere al mantenimento dei propri traffici e della sicurezza, spendendo continuamente in manutenzione, a partire da quella dei fondali, a costi economici ben inferiori da quelli richiesti oggi per gli accumuli arretrati. C’è poi un capitolo a parte che riguarda la manutenzione delle navi, troppo spesso affidata all’expertise degli equipaggi. Forse sarebbe il caso di ripensare agli Enti di classifica ed alle procedure di controllo a bordo. Infine, il gigantismo navale che comporta nuovi concetti in edilizia portuale, che da tempo non può più permettersi costruzioni in banchina, crociere incluse. Ma questa è ancora un’altra storia.
Share :