
Il 22 settembre 2025 l’Italia si è fermata per lo sciopero generale nazionale indetto da Usb, Cub, Sgb, Adl Varese e Usi-Cit. Una protesta nata in solidarietà con la popolazione di Gaza e contro il blocco degli aiuti umanitari da parte dell’esercito israeliano, ma che ha messo al centro anche questioni interne: dall’aumento delle spese militari al calo dei salari reali (-7,5% dal 2021), dalla precarietà alla mancanza di politiche industriali. Le richieste principali: salario minimo di 10 euro lordi l’ora, settimana lavorativa di 32 ore su 4 giorni e abolizione della riforma Fornero.
La mobilitazione ha coinvolto trasversalmente diversi comparti. Nei porti le adesioni sono state massicce: Genova, Livorno, Trieste, Napoli, Ancona, Civitavecchia, Salerno e Marina di Carrara hanno registrato blocchi delle attività. A Genova oltre 600 lavoratori hanno presidiato gli accessi portuali nonostante l’allerta meteo, bloccando i varchi e impedendo il transito delle merci. A Livorno la protesta si è concentrata contro la presenza di una nave carica di armamenti, mentre a Marghera un corteo con circa 20mila partecipanti è entrato nel porto fermando completamente le operazioni.
Lo sciopero ha avuto impatti significativi anche nel trasporto ferroviario: il blocco delle merci, iniziato la sera del 21, ha interrotto i collegamenti nord-sud. Nel traffico passeggeri, a Torino la circolazione è stata sospesa per l’occupazione dei binari da parte dei manifestanti, mentre a Milano si sono registrati scontri davanti alla Stazione Centrale.
Disagi pure sulle strade: a Bologna i cortei hanno occupato tangenziale e A14, causando la chiusura dello svincolo 7 di Bologna Centro; sull’A1, al casello di Calenzano, i lavoratori delle autostrade hanno rallentato il traffico.
Infine, nel settore stoccaggio e distribuzione, gli effetti sono stati a macchia di leopardo ma hanno colpito comparti ad alta rotazione come moda, agroalimentare e farmaceutico, con interruzioni nei magazzini e nei servizi di ultimo chilometro.
Lo sciopero, lanciato con lo slogan “Blocchiamo tutto con la Palestina nel cuore”, ha confermato la capacità organizzativa dei sindacati di base e riacceso il dibattito su salari, condizioni di lavoro e scelte di politica economica del Paese.