21/06/2012

Porti italiani: continua la scarsa visibilità

Mentre Assoporti è concentrata a trovare soluzioni sulla futura Presidenza per scongiurare il pericolo di una spaccatura interna, occupando ancora una volta la cronaca locale dei nomi e non le pagine di politica economica nazionale, il Governo, invece, sembra avere idee abbastanza precise sulla portualità italiana. Dopo l’art 46 del Decreto Salva Italia in dicembre scorso che consente alle AP di costituire sistemi logistici per la realizzazione di infrastrutture di collegamento tra porti e aree retro portuali con atti d'intesa e coordinamento con gli enti locali interessati ed i gestori delle infrastrutture ferroviarie, recentemente un nuovo segnale ha riguardato il documento di Spending review che contempla, tra l’altro, l’accorpamento di alcune Autorità portuali, con l’obiettivo di ridurne il numero. L’ultimo, invece, in ordine temporale, è il Decreto Sviluppo che comporta per i porti almeno un paio di questioni. La prima, Art 15, riguarda le opere portuali previste ma di cui non sia stato ancora emesso il bando di gara, il cui finanziamento è revocato senza prevedere un accertamento sulle cause, spesso imputabili alle lungaggini esterne al porto. La seconda, Art 14, riguarda l’autonomia finanziaria dell’Autorità portuale per realizzazioni infrastrutturali, che trova attuazione attraverso l’attribuzione percentuale del gettito IVA e delle accise prodotte non solo dall’attività del porto interessato, ma anche dai porti e dagli interporti rientranti nella circoscrizione territoriale dell’autorità portuale, introducendo con l’aggiunta dell’Art 18 bis all’interno della Legge 84/94 sui porti, un diritto finanziario del porto sull’infrastruttura intermodale terrestre. Il punto che impone riflessione è che al momento la legge sui porti 84/94 non prevede tra le funzioni e compiti delle Autorità portuali una competenza sugli interporti. Quindi che peso avrà nella concretizzazione del provvedimento questo buco normativo? C’è forse già da qualche parte un punto B) di un disegno di riprogettazione portuale nazionale? Oppure tutto si risolverà come un buco nell’acqua?

Continuando il ragionamento, mettendo insieme questi pochi elementi ne vien fuori una visione del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Corrado Passera, fatta di pochi grandi porti con competenze anche sulla retroportualità, su cui si spalmeranno le risorse prodotte dal lavoro delle infrastrutture logistiche marittime e terrestri tra loro collegate. Una vera rivoluzione copernicana che a questo punto potrebbe già contenere in fieri un cambiamento strutturale della stessa Autorità portuale, verso una sua definizione più ampiamente logistica. Ma questo quanta perdita di oggettiva specificità potrebbe comportare e con quale impatto sull’economia portuale? E se la linea è quella di andare verso una governance di tipo manageriale, alla luce delle recenti esperienze nazionali e internazionali, quali paletti sono previsti per equilibrare una conduzione che tuteli gli interessi pubblici generali sia dei territori direttamente interessati (per sostenibilità, occupazione, ecc.) che del paese? Il punto non è un giudizio sul numero di Autorità portuali o sull’identità degli interporti, ma l’accesso alla trasparenza pubblica, alla chiarezza economica e politica del progetto che dovrebbe sottendere qualsiasi provvedimento sostanziale.

Da un po’ di tempo c’è grande ricchezza di studi sui porti. Tutti pare siano in condizioni di scrivere di una delle infrastrutture più diversificate e complesse di un’economia avanzata. Spesso tra le pagine scritte i più attenti o semplicemente quelli che il porto lo masticano tutti i giorni notano approssimazioni, inesattezze se non talvolta veri e propri errori. In sostanza, in questa situazione in cui le strumentalizzazioni e le contese sembrano sovrastare i porti italiani, in modo molto simile alla politica che da anni costantemente tende a condizionare pesantemente l’economia portuale, sta emergendo il graduale consolidamento di una subcultura, una sorta di sapere estraneo ai porti ma che di porti asserisce di capire e conoscere tutto, disseminando errori, approssimazioni ed inesattezze che pesano sempre più nella creazione delle idee e nella formazione di opinioni e percezioni del mondo politico, che poi è quello che alla fine decide. Forse sarebbe meglio se in Italia ognuno tornasse al proprio mestiere ed i porti riprendessero a parlare di economia reale, di innovazione e di sicurezza, lasciando ad altri la politica e le speculazioni.
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