17/06/2016

CODICE DOGANALE DELL'UNIONE EUROPEA, UNA LUNGA STORIA

Il 7 febbraio 1992, siglando il Trattato di Maastricht, i rappresentanti degli allora dodici Stati membri della Comunità europea conferiscono una connotazione politica ed unitaria ad un concetto di Europa, fino a quel momento interpretato, in un’ottica economica, quale mercato sovranazionale di libero scambio e di libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali. Cadono (quasi tutte) le frontiere ideologiche, prima ancora di quelle fisiche.


1. IL TRATTATO DI MAASTRICHT

Il Trattato di Maastricht, nato sulla scia delle decisioni dell’atto Unico Europeo, sottoscritto a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da nove Stati membri e il 28 febbraio 1986 dalla Danimarca, dall'Italia e dalla Grecia, entrato in vigore il 1° luglio 1987 e che costituisce la prima modifica sostanziale del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE) , consegue cinque obiettivi essenziali:

            rafforzare la legittimità democratica delle istituzioni;

            rendere più efficaci le istituzioni;

            instaurare un'unione economica e monetaria;

            sviluppare la dimensione sociale della Comunità;

            istituire una politica estera e di sicurezza comune.

L’Unione europea, nata quel giorno e che ha mosso i primi passi il 1° novembre 1993, data di entrata in vigore del Trattato, è costituita da tre pilastri fondamentali:

            le Comunità europee: il primo pilastro è costituito dalla Comunità europea, dalla Comunità europea del carbone e dell'acciao (CECA) e dall'Euratom e riguarda i settori in cui gli Stati membri esercitano congiuntamente la propria sovranità attraverso le istituzioni comunitarie; si applica, in tale ambito, il cosiddetto processo del metodo comunitario, ossia proposta della Commissione europea, adozione da parte del Consiglio e del Parlamento europeo e controllo del rispetto del diritto comunitario da parte della Corte di giustizia ;

            la politica estera e di sicurezza comune: il secondo pilastro instaura la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sostituisce le disposizioni contenute nell'Atto unico europeo, consentendo agli Stati membri di avviare azioni comuni in materia di politica estera. La PESC adotta un processo decisionale intergovernativo, che fa ampiamente ricorso all'unanimità; la Commissione e il Parlamento europeo vi svolgono un ruolo marginale e la stessa non rientra nella giurisdizione della Corte di giustizia;

            cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale: il terzo pilastro riguarda la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni. L'Unione deve svolgere un'azione congiunta per offrire ai cittadini un livello elevato di protezione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Come in materia di politica estera e sicurezza comune, il processo decisionale adottato è quello intergovernativo.

Tra gli obiettivi del Trattato di Maastricht abbiamo visto compresa l’istituzione di un’unione economica e monetaria.

La politica economica consta di tre elementi fondamentali: gli Stati membri devono garantire il coordinamento delle loro politiche economiche; istituire una sorveglianza multilaterale di tale coordinamento; sono soggetti a norme di disciplina finanziaria e di bilancio.

La politica monetaria mira ad istituire una moneta unica, garantendone la stabilità grazie al controllo dei prezzi e al rispetto dell'economia di mercato; l'instaurazione della moneta unica è prevista in tre fasi successive:

            la prima fase, che liberalizza la circolazione dei capitali, è iniziata il 1º luglio 1990;

            la seconda fase, iniziata il 1º gennaio 1994, ha permesso la convergenza delle politiche economiche degli Stati membri;

            la terza fase, che doveva iniziare entro il 1º gennaio 1999, ha comportato la creazione di una moneta unica e la costituzione di una Banca centrale europea (BCE).

La politica monetaria è realizzata dal sistema europeo delle banche centrali (SEBC), costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali, tutte istituzioni indipendenti dalle autorità politiche nazionali e comunitarie.

L‘Unione comprende, altresì, un’unione doganale, che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta, da un lato, il divieto di istituzione, fra gli Stati membri, di imposizioni daziarie all’importazione e all’esportazione, nonché di qualsiasi tassa di effetto equivalente, dall’altro, l’adozione di una tariffa doganale comune nei rapporti con i Paesi terzi.

Anzi, l’Unione ha competenza esclusiva nel settore dell’unione doganale  e ne detta una disciplina dettagliata, almeno nei principi generali:

            sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da Paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse;

            i dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri e tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale;

            i dazi della tariffa doganale comune sono stabiliti dal Consiglio su proposta della Commissione ;

            nell'adempimento dei compiti che le sono affidati la Commissione s'ispira:

a)            alla necessità di promuovere gli scambi commerciali fra gli Stati membri e i paesi terzi;

b)            all'evoluzione delle condizioni di concorrenza all'interno dell'Unione, nella misura in cui tale evoluzione avrà per effetto di accrescere la capacità di concorrenza delle imprese;

c)            alla necessità di approvvigionamento dell'Unione in materie prime e prodotti semilavorati, pur vigilando a che non vengano falsate fra gli Stati membri le condizioni di concorrenza sui prodotti finiti;

d)            alla necessità di evitare gravi turbamenti nella vita economica degli Stati membri e di assicurare uno sviluppo razionale della produzione e una espansione del consumo nell'Unione ;

            nel quadro del campo di applicazione dei trattati, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano misure per rafforzare la cooperazione doganale tra gli Stati membri e tra questi ultimi e la Commissione.

 

2. IL CODICE COMUNITARIO DOGANALE

Al fine di non ridurre il dettato legislativo a semplice petizione di principio e di attribuire alla nuova unione doganale i poteri e gli strumenti necessari per divenire organismo vivente, il Consiglio delle Comunità europee, in cooperazione con il Parlamento europeo, vista la proposta della Commissione europea, emana il Regolamento 12 ottobre 1992, n. 2913, che istituisce il Codice doganale comunitario, applicabile a decorrere dal 1° gennaio 1994; al quale farà seguito il Regolamento 2 luglio 1993, n. 2454 della Commissione europea, con il quale vengono fissate le disposizioni di applicazione del Codice doganale comunitario.

La congerie degli atti di diritto derivato abrogati dal Codice doganale e dalle sue disposizioni di applicazione testimonia della sua natura di compendio, quasi di testo unico, in senso atecnico, della legislazione doganale fino ad allora emanata.

E il Consiglio riconosce espressamente questa natura: nell'interesse sia degli operatori economici, sia delle amministrazioni delle dogane, occorre riunire in un Codice le disposizioni del diritto doganale vigente, disperse in un gran numero di regolamenti e direttive comunitarie; e questo compito, particolarmente importante in vista del mercato interno,  comporta, tuttavia, la necessità di modificare la normativa recepita, al fine di renderla più coerente, semplificarla e, soprattutto, completarla.

Lungi dal costituire uno strumento nuovo, disegnato su misura per la nuova idea di unione doganale propugnata dalle istituzioni comunitarie, il Codice si presenta quale sintesi ed integrazione delle procedure doganali applicate separatamente negli Stati membri nel corso dei vent’anni precedenti, ormai consolidate.

Ciò premesso, qualche novità non manca.

La considerazione del principio di un mercato interno esteso a tutta la Comunità determina la necessità di una normativa doganale che preveda le norme e le procedure di carattere generale in grado di garantire l'applicazione delle misure comunitarie tariffarie e commerciali in materia di scambi di merci tra la Comunità e i Paesi terzi, comprese le misure di politica agricola e di politica commerciale comune, tenendo in particolare considerazione le esigenze di queste politiche comuni; senza, peraltro, pregiudicare le disposizioni particolari stabilite in altri settori, ad esempio nel quadro della normativa agricola, statistica o della politica commerciale e delle risorse proprie.

La considerazione del diritto degli operatori economici ad un equo trattamento, che equilibri il compito istituzionale dell'amministrazione doganale di provvedere all'ordinata applicazione della normativa doganale, determina la previsione di ampie possibilità di controllo per gli operatori economici sull’agire dell’amministrazione, compreso il diritto per i soggetti interessati di ricorrere contro le sue decisioni.

La considerazione della grande importanza rivestita dal commercio esterno per gli interessi della Comunità, comporta la necessità di sopprimere o, quanto meno, limitare, per quanto possibile, le formalità e i controlli doganali.

Dalla considerazione della necessaria uniforme applicazione del codice discende l’istituzione di un comitato del codice doganale, che garantisca una stretta ed efficace collaborazione tra gli Stati membri e la Commissione, prevedendo, a tal fine, una procedura comunitaria che permetta di stabilirne le modalità di applicazione in termini appropriati.

E la Commissione, delegata dal Consiglio ad approvare le disposizioni di applicazione del Codice doganale comunitario, ribadisce tali posizioni:

“considerando che le stesse ragioni che hanno condotto all'adozione del codice sono valide anche per la normativa doganale applicativa; che è quindi opportuno riunire in un unico regolamento le disposizioni di applicazione del diritto doganale attualmente disperse in una moltitudine di regolamenti e direttive comunitari;

considerando che nel codice doganale comunitario d'applicazione così stabilito, dovranno figurare le norme doganali attualmente applicabili; che è tuttavia opportuno, tenuto conto dell'esperienza acquisita: - apportare a tali norme talune modifiche per adattarle alle disposizioni figuranti nel codice; - ampliare la portata di talune disposizioni, attualmente limitata a taluni regimi doganali, per tener conto del campo di applicazione generale del codice; - precisare talune norme per garantirne una maggiore sicurezza giuridica in sede di applicazione".

 

3. IL TRATTATO DI LISBONA

Ma velocemente si modificano le abitudini e i comportamenti che regolano le transazioni commerciali internazionali; e altrettanto velocemente deve cambiare il mondo doganale, perché il legislatore comunitario non si ferma, in quanto espressione di sintesi di una congerie di interessi economici, spesso contrapposti, sicuramente mal coordinati, che vedono l’elemento doganale quale imparziale (o parziale, secondo le convenienze) regolatore della correttezza dei traffici.

Gli allargamenti dell’Unione Europea del 2004 e del 2007 hanno confermato la necessità di rivedere i meccanismi di funzionamento delle istituzioni comunitarie, così da garantirne maggiore efficacia e capacità decisionale.

Un allargamento, sia detto per inciso, di natura “epocale", come è stato sovente definito; oltre a Cipro e Malta, infatti, ben dieci Paesi dell’Europa centrale e orientale, usciti dalla sfera di influenza politica, economica e sociale dell’ex regime sovietico, hanno aderito all’Unione: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.

In occasione dell’incontro informale dei Capi di Stato e di Governo, avvenuto a Berlino il 24 e 25 marzo 2007, al fine di celebrare i cinquant’anni del Trattato di Roma, la Dichiarazione congiunta pubblicata al termine del vertice auspica il rilancio del processo di riforma, interrottosi dopo la firma del Trattato di Nizza, avvenuta il 26 febbraio 2001; il Consiglio Europeo del 21 e 22 giugno 2007 convoca una nuova Conferenza Intergovernativa, concordando un mandato, ben determinato nei tempi e nei contenuti, con precise istruzioni per l'elaborazione di un trattato di riforma che modifichi il Trattato sull'Unione europea e il Trattato istitutivo della Comunità europea.

Il risultato di tale, intensa attività è stato la nascita di un nuovo Trattato, elaborato dalla Conferenza Intergovernativa, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Conformemente al mandato, il Trattato di Lisbona si pone due obiettivi fondamentali: migliorare l’efficacia del processo decisionale dell’UE e migliorare la coerenza e l’efficacia dell’azione dell’UE sulla scena internazionale.

All’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione Europea è stata resa:

            più efficiente: sono semplificati i metodi di lavoro e le norme di voto, le istituzioni sono rese più moderne ed adeguate ad un’Unione ben più ampia di quella originaria, con una capacità di intervento nei settori di massima priorità maggiore che in passato.

Il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio viene esteso a nuovi ambiti politici, così da accelerare e rendere più efficace ed efficiente il processo decisionale.

Viene istituita la figura del presidente del Consiglio europeo, eletto per un mandato di due anni e mezzo, previsto un legame diretto tra l’elezione del Presidente della Commissione e l’esito delle elezioni europee, stabilite nuove disposizioni per la futura composizione del Parlamento europeo e dettate norme più chiare sulla cooperazione rafforzata e sulle disposizioni finanziarie.

E’ migliorata la capacità di azione dell’UE in diversi settori prioritari per l’Unione, come nel campo della “libertà, sicurezza e giustizia", per meglio affrontare questioni come la lotta al terrorismo e alla criminalità, nonché le sfide in ambiti come la politica energetica, la salute pubblica, la protezione civile, i cambiamenti climatici, i servizi di interesse generale, la ricerca, lo spazio, la coesione territoriale, la politica commerciale, gli aiuti umanitari, lo sport, il turismo e la cooperazione amministrativa;

            più democratica: il Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini, è dotato di nuovi importanti poteri per quanto riguarda la legislazione e il bilancio dell’UE e gli accordi internazionali. In particolare, l’estensione della procedura di codecisione garantisce al Parlamento europeo una posizione di parità rispetto al Consiglio, dove sono rappresentati gli Stati membri, per la maggior parte degli atti legislativi europei.

A seguito dell’istituzione della figura dell’iniziativa popolare, un gruppo di almeno un milione di cittadini di un certo numero di Stati membri può invitare la Commissione a presentare nuove proposte.

Per la prima volta viene espressamente riconosciuta agli Stati membri la possibilità di uscire dall’Unione.

Viene promulgata la Carta dei diritti fondamentali: il trattato di Lisbona mantiene i diritti esistenti e ne introduce di nuovi, garantendo le libertà e i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali e rendendoli giuridicamente vincolanti. Il trattato contempla diritti civili, politici, economici e sociali;

            più trasparente: vengono chiarite le competenze, grazie ad una categorizzazione che consente di definire in modo più preciso i rapporti tra gli Stati membri e l’Unione europea; vengono semplificate e modificate le modalità di accesso del pubblico ai documenti e alle riunioni delle istituzioni;

            più unita: soprattutto sulla politica estera, in relazione alla quale viene istituita la figura del Ministro degli esteri europeo, che rappresenta tutti i 28 paesi;

            più sicura: sono introdotte nuove possibilità di lotta al cambiamento climatico e al terrorismo, nonché alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

Relativamente all’impatto avuto dal Trattato di Lisbona sui sistemi fiscali vigenti, autorevole dottrina  ha rilevato i seguenti profili:

            la più ampia tutela dei diritti fondamentali;

            la regola dell’unanimità per la materia fiscale, che viene confermata;

            le competenze fiscali dell’Unione, che rimangono invariate;

            il mancato inserimento nel Trattato di principi di carattere tributario, il significato dell’eliminazione della tutela della concorrenza dagli obiettivi del Trattato e del riferimento, adesso contenuto nell’art. 3 del Trattato sull’Unione europea (di seguito, TUE), all’economia sociale di mercato fortemente competitiva;

            il tema della concorrenza fiscale tra Stati;

            la mancata istituzione di tributi a livello europeo e l’inesistenza di politiche sociali e fiscali europee;

            la fiscalità ambientale.

In conclusione, ci sembra che le modifiche di maggior peso apportate dal Trattato di Lisbona non possano ritenersi «rivoluzionarie» rispetto all’assetto complessivo dell’ordinamento dell’UE. La novità principale - l’assunta vincolatività giuridica della Carta dei diritti e la conseguente acquisizione del medesimo valore giuridico dei trattati dei diritti fondamentali in essa sanciti – è stata bensì rilevante, ma certamente non tale da sconvolgere l’assetto dell’ordinamento dell’Unione, sol che si tenga conto che già nel quadro ante Lisbona i medesimi diritti fondamentali assumevano rilievo quale principi generali del diritto comunitario, in virtù delle progressive evoluzioni della giurisprudenza comunitaria.

Anche l’ulteriore ed importante innovazione relativa agli obiettivi dell’Unione in punto di costruzione di un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale non costituisce, come detto, una «controriforma» rispetto al passato, se è vero che il «diritto comunitario vivente» - vale a dire la giurisprudenza della Corte di giustizia - aveva già valorizzato il principio di solidarietà ed evidenziato sin dagli anni Settanta l’intimo collegamento tra obiettivi di carattere economico e sociale.

Tantomeno può ritenersi che il Trattato di Lisbona abbia attuato una «rivoluzione fiscale», se è vero che, in tale ambito, le modifiche si sono limitate all’abrogazione dell’art. 293 del Trattato CE in tema di riconoscimento agli Stati del compito di eliminazione della doppia imposizione e ad alcuni impulsi favorevoli all’intrapresa di un percorso di armonizzazione nel settore della fiscalità ambientale e che, per converso, nulla è mutato con riferimento alle competenze dell’Unione in materia fiscale e alla persistente applicabilità del principio dell’unanimità.

E, tuttavia, non si può cedere alla tentazione di concludere che nulla è mutato.

Il cambiamento è forse meno evidente, ma – almeno in linea teorica – potrebbe rivelarsi più profondo. Sia pur in un panorama normativo non privo di contraddizioni, al Trattato di Lisbona deve ascriversi il merito di aver operato espresso riferimento ad obiettivi ulteriori rispetto a quelli prettamente mercatistici, tipici della precedente costruzione comunitaria, facendo sì che l’obiettivo dell’instaurazione del mercato interno assommi ora al proprio interno una trama complessa e variegata di interessi.

La conseguenza di un tale mutato approccio di fondo deve rintracciarsi nell’ormai acquisita parità di tali obiettivi di carattere lato sensu sociale rispetto a quelli di carattere economico-concorrenziale: se è vero, come detto, che l’obiettivo della promozione di un assetto concorrenziale non è né venuto meno né ha perso significativamente di rilievo, non può trascurarsi che, a seguito del Trattato di Lisbona, per i valori di carattere sociale deve ritenersi ormai superato il tradizionale approccio delle istituzioni comunitarie – e della Corte di giustizia in particolare - incline ad una loro interpretazione restrittiva e in chiave meramente derogatoria dei valori di tipo economico.

Il portato del Trattato di Lisbona risiede, dunque, nel definitivo superamento di quel rapporto gerarchico tra obiettivi di carattere economico e scopi di tipo sociale che ha caratterizzato la costruzione comunitaria nei decenni precedenti in favore di una più complessa interrelazione tra tali finalità, rivolta all’individuazione di un punto di equilibrio tra tali esigenze necessariamente mutevole di volta in volta a seconda della materia di riferimento.

 

4. IL CODICE DOGANALE DELL'UNIONE

Il Codice e, ancor più, le sue disposizioni di applicazione subiscono, dunque, una serie di interventi correttivi e di adeguamento, così da recepire, a titolo esemplificativo, le istanze connesse alla informatizzazione delle attività, al sempre crescente interesse per attività di natura extra-tributaria, interesse dettato proprio dall’idea di una dogana vigile attento e inflessibile della sicurezza dei cittadini e della correttezza degli scambi, alla recente introduzione delle disposizioni costituenti il cosiddetto emendamento sicurezza, che ha certificato il deciso spostamento di interesse sulle questioni attinenti la sicurezza internazionale, ad un più compiuto riconoscimento, a livello comunitario, degli operatori economici ritenuti soggetti professionalmente capaci e finanziariamente ed eticamente affidabili, alle semplificazioni sempre maggiormente richieste dalla continua velocizzazione degli scambi e dalla necessità di libera circolazione delle merci.

Il trascorrere degli anni fortifica la convinzione dell’utilità di una profonda e sistematica revisione del Codice; si arriva, in tal modo, all’anno 2008, quando il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea emanano il Regolamento 23 aprile 2008, n. 450, chi istituisce il Codice doganale comunitario aggiornato.

La situazione che viene così a determinarsi è decisamente paradossale.

Il nuovo Codice entra in vigore il 24 giugno 2008; da tale data è abrogato il vecchio Codice comunitario; ma il nuovo Codice si applica in parte da tale data, in parte al momento dell’adozione delle relative disposizioni di applicazione (da pubblicarsi non prima del 24 giugno 2009) e, in ogni caso, al più tardi il 24 giugno 2013 (termine successivamente prorogato al 1° novembre 2013).

Il vecchio Codice è abrogato, ma non è sostituito da quello nuovo, in vigore, ma non applicabile; dunque, ex lege non è applicabile alcuna versione del Codice doganale comunitario.

Risultato: le dogane continuano, di fatto, ad applicare il vecchio Codice, unico testo “completo", benchè abrogato.

Il 20 febbraio 2012 la Commissione europea pubblica il documento di lavoro COM (2012) 64, recante una proposta di revisione del Codice doganale aggiornato, mai applicato, eppure già emendato.

Arriviamo, così, ai giorni nostri.

Il 1° novembre doveva divenire completamente applicabile il Codice doganale aggiornato; ma erano tante e tali le proposte di emendamento avanzate dai servizi comunitari, che il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea, vista la proposta della Commissione europea, hanno preferito emanare il nuovo Regolamento 9 ottobre 2013, n. 952, di approvazione del Codice doganale dell’Unione, nel quale viene rifuso, per ragioni di chiarezza e trasparenza, il Regolamento n. 450/08, con il quale era stato adottato il Codice doganale comunitario aggiornato.

Il Codice doganale dell’Unione, entrato in vigore il 30 ottobre 2013 ed applicabile in parte da tale data, in parte dal 1° maggio 2016 , segna, dunque, il punto di arrivo (approvazione delle relative disposizioni di applicazione a parte) di una storia iniziata 21 anni prima e costituisce, finalmente, uno strumento moderno, innovativo, rispetto ai precedenti testi e destinato a regolare i traffici internazionali considerate le osservazioni e le istanze delle categorie economiche e professionali interessate.

In grado di esplicare compiutamente i suoi effetti grazie all’approvazione delle disposizioni di dettaglio dallo stesso delegate all’esame della Commissione europea e contenute nel Reg.to (UE) 28 luglio 2015, n. 2446, recante integrazioni al Codice doganale dell’Unione in relazione alle modalità che specificano alcune sue disposizioni; e nel Reg.to (UE) 24 novembre 2015, n. 2447, recante modalità di applicazione di talune disposizioni del Codice doganale dell’Unione .

Impossibile, in poche righe, delineare i tratti caratteristici dei singoli istituti disciplinati dal Codice; ma possibile delineare le linee strategiche che hanno guidato i servizi comunitari nella sua redazione.

Il Codice riconosce come il completamento del mercato interno, la riduzione degli ostacoli al commercio e agli investimenti internazionali e l'accresciuta necessità di garantire la sicurezza alle frontiere esterne dell'Unione hanno trasformato il ruolo delle dogane, assegnando loro una funzione di guida nella catena logistica e rendendole, nella loro attività di monitoraggio e gestione del commercio internazionale, un catalizzatore della competitività dei paesi e delle società.

La normativa doganale deve riflettere la nuova realtà economica e la nuova dimensione del ruolo e del compito delle dogane.

Anche l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, alla base della creazione della cosiddetta douane sans papier, è un elemento essenziale per garantire, nel contempo, agevolazioni al commercio ed efficacia dei controlli doganali, riducendo, in tal modo costi e rischi per le imprese; ecco, dunque, declinato il principio giuridico secondo il quale tutte le operazioni doganali e commerciali devono essere effettuate per via elettronica e i sistemi telematici doganali devono offrire agli operatori economici le stesse possibilità in ciascuno Stato membro.

La “partnership" dogana/operatore economico nella fase di gestione del rischio, con quest’ultimo nella veste di fornitore di informazioni, gestite in via telematica, precedenti l’arrivo della merce, comporta, quale regola, il conseguente rapido svincolo delle merci stesse e quale presupposto, una dichiarazione doganale trasmessa per via elettronica, la sopravvivenza di un solo tipo di dichiarazione semplificata, la possibilità di presentare una dichiarazione sotto forma di iscrizione nelle scritture del dichiarante.

Ma non basta.

Minimizzare costi e rischi imprenditoriali significa, anche, garantire controlli doganali armonizzati; garantire un quadro comune in materia di gestione del rischio e un sistema elettronico per la sua attuazione; garantire a chiunque il diritto di nominare un rappresentante per le sue relazioni con le autorità doganali che sia stabilito in un Paese dell’Unione, senza che tale diritto di rappresentanza possa essere “riservato" a determinati soggetti da una legge emanata da uno Stato membro.

Proviamo, in parte, brevemente a delineare con le parole del legislatore comunitario, tratte dai “considerando" iniziali del Codice stesso, le principali novità dettate dal nuovo Codice doganale dell’unione:

            nuovi regimi doganali: la facilitazione del commercio legale e la lotta antifrode richiedono regimi e procedure doganali semplici, rapidi e uniformi. È pertanto opportuno, in linea con la comunicazione della Commissione del 24 luglio 2003 dal titolo "Un ambiente semplificato e privo di supporti cartacei per le dogane e il commercio", semplificare la normativa doganale, al fine di consentire l'uso di tecnologie e strumenti moderni e promuovere ulteriormente un'applicazione uniforme della normativa doganale e approcci aggiornati al controllo doganale, contribuendo in tal modo a fornire la base per procedure di sdoganamento semplici ed efficienti.

I regimi doganali dovrebbero essere fusi o armonizzati e il loro numero dovrebbe essere ridotto a quelli economicamente giustificati, al fine di accrescere la competitività delle imprese;

            sdoganamento centralizzato: poiché la convenzione riveduta di Kyoto promuove la presentazione, la registrazione e il controllo della dichiarazione in dogana prima dell'arrivo delle merci e, inoltre, la separazione del luogo in cui la dichiarazione viene presentata da quello in cui le merci sono fisicamente situate, è opportuno prevedere lo sdoganamento centralizzato nel luogo in cui l'operatore economico è stabilito;

            AEO: gli operatori economici che operano nel rispetto delle norme e sono affidabili dovrebbero beneficiare dello status di operatore economico autorizzato soggetto alla concessione di un'autorizzazione per le semplificazioni doganali o di un'autorizzazione per la sicurezza o di entrambe; A seconda del tipo di autorizzazione concessa, gli operatori economici autorizzati dovrebbero poter trarre il massimo vantaggio da un uso esteso delle semplificazioni doganali o beneficiare di agevolazioni in materia di sicurezza. Dovrebbero altresì godere di un trattamento più favorevole per quanto riguarda i controlli doganali, come un numero minore di controlli fisici e basati sui documenti.

Gli operatori economici che operano nel rispetto delle norme e sono affidabili dovrebbero beneficiare del mutuo riconoscimento internazionale dello status di operatore economico autorizzato;

            rappresentanza in dogana: al fine di agevolare le attività commerciali, occorre preservare per chiunque il diritto di nominare un rappresentante per le sue relazioni con le autorità doganali. Non dovrebbe tuttavia essere più possibile riservare tale diritto di rappresentanza con una legge emanata da uno Stato membro. Inoltre, il rappresentante doganale che soddisfa i criteri per la concessione dello status di operatore economico autorizzato per le semplificazioni doganali dovrebbe essere abilitato a prestare tali servizi in uno Stato membro diverso dallo Stato membro in cui è stabilito. Come regola generale, un rappresentante doganale dovrebbe essere stabilito nel territorio doganale dell'Unione. Tale obbligo dovrebbe essere oggetto di esenzione se il rappresentante doganale agisce per conto di persone che non sono tenute a essere stabilite nel territorio doganale dell'Unione o in altri casi giustificati.

Da segnalare, infine, due principi di buon senso a garanzia del contribuente.

Si deve adeguatamente considerare la buona fede della persona interessata quando un'obbligazione doganale sorga a seguito dell’inosservanza di una disposizione normativa e minimizzare l'impatto della negligenza da parte del debitore.

Conformemente alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, poi, si prevede, oltre al diritto di proporre ricorso avverso le decisioni adottate dalle autorità doganali, il diritto per ogni persona di essere sentita prima che una tale decisione, a lei pregiudizievole, sia adottata, con la sola limitazione delle ipotesi di minaccia per la sicurezza dell'Unione e dei suoi residenti, per la salute umana, animale o vegetale, per l'ambiente o per i consumatori.

La pubblicazione delle disposizioni applicative e integrative da parte della Commissione doveva porre fine a questa lunga storia.

Ma così non è stato.

Un regolamento che disciplina le misure transitorie  e un indefinito numero di documenti Taxud, frutto dell’opera di dieci tavoli di lavoro, chiamati a delineare le linee guida interpretative del nuovo Codice, poiché ben tre regolamenti comunitari non sono stati sufficienti a tal scopo, sembrano ancora incapaci di dirimere tutti i dubbi che la lettura del nuovo corpus normativo genera.

Certo, le autorità doganali dei singoli Stati membri non sembrano adoperarsi molto per aiutare gli interpreti; il silenzio e le contraddizioni non aiutano certo chi cerca un (forse utopistico) uniforme indirizzo applicativo.

Certo è, almeno così pare, il programma di lavoro delineato dalla Commissione europea fino al 2020; nella sua ultima versione , può essere così riassunto:

            1° gennaio 2017: sistema degli esportatori registrati (REX);

            1° marzo 2017 (fase 1)/1° ottobre 2018 (fase 2): informazioni tariffarie vincolanti (ITV)/Sorveglianza nell’ambito del CDU;

            2 ottobre 2017: decisioni doganali nell’ambito del CDU;

            2 ottobre 2017: accesso diretto dell’operatore commerciale ai sistemi di informazione europei 

               (gestione uniforme degli utenti e firma digitale);

            2 ottobre 2017: prova della posizione unionale delle merci nell’ambito del CDU;

            1° marzo 2018: aggiornamento degli operatori economici autorizzati (AEO) nell’ambito del CDU;

            1° ottobre 2018: sorveglianza 3 nell’ambito CDU;

            1° ottobre 2018: aggiornamento del nuovo sistema di transito informatizzato (NCTS) nell’ambito del CDU;

            1° marzo 2019: sistema automatizzato di esportazione (AES) nel’ambito del CDU;

            1° ottobre 2019: bollettini di informazione (INF) per I regime speciali nell’ambito del CDU;

            1° ottobre 2019: regimi speciali nell’ambito del CDU;

            2 marzo 2020: notifica di arrivo, notifica di presentazione e custodia temporanea nell’ambito del CDU;

            2 marzo 2020: gestione delle garanzie (GUM) nell’ambito del CDU dell’Unione;

            1° ottobre 2020: sdoganamento centralizzato all’importazione (CCI) nell’ambito del CDU;

            da definire: sicurezza e gestione dei rischi nell’ambito del CDU;

            da definire: classificazione (CLASS) nell’ambito CDU.

 

di Lucia Iannuzzi di C-TRADE (si veda brochure allegata)
Paolo Massari

File allegati