16/04/2012

”TERRE RARE”, LA CINA ALZA LA POSTA

È la prima volta nella storia del WTO (World Trade Organization) che tra i primi 4 Paesi dell’economia mondiale, 3 si coalizzino contro uno solo. È successo per la contesa commerciale sulle terre rare, gruppo di 17 minerali necessari a tutta la tecnologia avanzata, dagli IPod alla Green Economy. La Cina, infatti, che ha soddisfatto fino a poco fa il 97% della domanda mondiale di terre rare, pur disponendo solo di un terzo delle riserve globali, recentemente ha deciso di limitarne drasticamente la produzione, facendone schizzare i prezzi fino a 6 volte quelli del 2009 (dato Lynas Corp.). Una manovra necessaria a ripulire l’industria e preservare le risorse in diminuzione, spiega Pechino, che ha chiuso l’attività di centinaia di piccoli operatori privati per negligenza negli standard di salute e sicurezza, ma non quella degli stabilimenti statali altrettanto inquinanti. Rispondendo alle accuse dei Paesi buyers, il portavoce del ministro del Commercio, ha sottolineato che la Cina cerca di proteggere le proprie risorse e il proprio ambiente e non di restringere il libero mercato o promuovere l’industria domestica. Ma l’Occidente pensa che la Cina, riducendo l’offerta di terre rare di cui ha il monopolio, sta creando un sistema di prezzi a due livelli molto favorevole alle aziende cinesi, per attirare investimenti stranieri e salire sulla scala del valore con lo sviluppo di compagnie di livello mondiale. Pochi giorni fa, l’agenzia di Stato Xinhua, facendo riferimento a USA, UE e Giappone firmatari della protesta formale al WTO, ha sottolineato causticamente che la Cina, normalmente criticata per vendere a prezzi inferiori, ora è accusata di far pagare troppo; mentre fonti ufficiali cinesi chiosano che non è un vanto la posizione acquisita sul mercato delle terre rare, costata 20 milioni mc di acqua di scolo velenosa nelle regioni di Mongolia e Jiangxi, contaminando acque potabili e terreni coltivati per decenni. Immediata la reazione dei mercati, in cui molti investitori sono stati attratti dall’impennata dei prezzi. Secondo il Technology Metals Research, sono già stati presentati diversi progetti per miniere e raffinerie sparse nel mondo – quantizzati dal Wall Street Journal in 419 progetti in 26 nazioni - che nei prossimi 5 anni potrebbero delimitare tra il 41 ed il 46% la quota cinese di terre rare sul mercato internazionale. Tra questi anche la riapertura della miniera californiana di Mountain Pass – ora sottoposta a lavori di ammodernamento dalla concessionaria Molycorp Minerals – chiusa nel 2002, nonostante coprisse il 40% della domanda globale, per problemi con le acque di scolo. In Malaysia, invece, l’australiana Lynas Corp. cerca di aprire a Gebing il più grande impianto al mondo di trattamento di terre rare della miniera australiana di Mount Weld, provocando una grande manifestazione ambientalista con 15 mila persone. I piani del primo ministro Najib sono di attirare investimenti esteri diretti (FDI), che tuttavia mostrano interesse soprattutto nell’industria estrattiva, ma molti malesi hanno ben in mente l’impianto Mitsubishi Chemical a Bukit Merah, chiuso nel 1992 per inquinamento, morti e malformazioni. Nonostante l’azienda nipponica abbia immesso 100milioni di dollari per la bonifica e risarcito molte vittime, dopo venti anni il sito, uno dei più grandi dell’Asia, è ancora pieno di rifiuti radioattivi. Un comunicato governativo ha fatto sapere che la Lynas Corp ha garantito un impianto di discarica permanente lontano dalla popolazione, in linea con l’Agenzia Mondiale dell’Energia Nucleare; se ostacolato, in alternativa, “Lynas ha già espresso la volontà di portare i residui fuori dalla Malesia". Come riporta Reuters, esperti e gruppi ambientalisti sottolineano che, per porre fine al monopolio cinese, il vero problema da affrontare è l’inquinamento prodotto da estrazione e raffinazione delle terre rare, i cui standard, a detta dei concessionari, sono molto migliorati. In molti osservano che fin quando per più di un decennio le raffinerie cinesi hanno rifornito il mondo a prezzi stracciati distruggendo il proprio suolo e la vita di un gran numero di persone, questo non ha creato problemi; “Il resto del mondo apparentemente dormiva quando la Cina cresceva per diventare il Golia dell’industria delle terre rare", si legge in un documento di The Institute for the Analysis of Global Security già nel 2010. Intanto, durante una visita ufficiale a Tokyo, Pascal Lemy, direttore generale del WTO, ha sdrammatizzato la disputa in corso definendola una frizione commerciale e non una guerra, rassicurando anche sui rischi di possibili degenerazioni; mentre da una nota Bloomberg, Information Time ha anticipato che a giugno la Cina sperimenterà per le terre rare una regolamentazione che lascia supporre il loro inserimento nell’elenco dei beni che possono essere venduti solo dietro autorizzazione governativa.

GIOVANNA VISCO



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