07/07/2015

Massimo Marciani della commissione ”City logistics”

Da poco è attiva in Assologistica la nuova commissione tecnica "City logistics" presieduta da Arturo Mancinelli, mentre I lavori e gli approfondimenti sono coordinati - assieme a Gabriele Panero (direttore generale del gruppo Mancinelli) - dall’esperto internazionale di distribuzione fisica e di mobilità urbana sostenibile Massimo Marciani (presidente della FIT Consulting). Lo abbiamo intervistato in merito alle sfide che il mondo della logistica urbana è tenuto ad affrontare, partendo dall'analisi della condizione di fatto nel nostro Paese.

Può esprimere un parere sullo “stato dell’arte" della city logistics in Italia? 
Ci troviamo in questo momento in una fase di transizione direi. Stiamo passando dagli studi, dalle ricerche, dalle sperimentazioni pilota alla necessità di mettere in campo soluzioni strutturali e a sistema che tengano conto delle tecnologie emergenti, dei nuovi modelli di gestione della mobilità e delle infrastrutture. Mi spiego meglio: fin dall’inizio degli anni 2000 l’Italia si era distinta – anche in rifermento ad altri Paesi Europei – come una sorta di apripista in questo settore. Purtroppo anche se era assai nobile l’obiettivo di ottimizzare un sistema evidentemente non particolarmente efficiente, si è scelta a mio avviso la strada sbagliata, quella senza dubbio più semplice ma, appunto, sbagliata del finanziamento a fondo perduto. 

Perché la definisce una strada sbagliata?
Si sono “bruciati" - ai tempi - miliardi di lire per dimostrare che poteva essere sostenibile un sistema addizionale tutto pubblico - alternativo a quello legittimamente sviluppato dagli operatori privati - che vedeva lo sviluppo di piattaforme obbligatorie o di servizi monopolistici in cui la tariffa veniva artificiosamente tenuta bassa nella fase di start up per favorire il lancio del servizio e la contestuale messa fuori mercato dell’operatore privato. È stata la stagione dei famigerati Centri di Distribuzione Urbana o di consolidamento delle merci che dovevano essere realizzati secondo un criterio ingegneristico e non logistico, immobiliare e non di servizio. L’idea che si potesse ottimizzare il sistema obbligando gli operatori a servirsi di tali servizi e/o di tali strutture è poi fortunatamente tramontata – in modo definitivo – con il periodo di crisi e recessione iniziato nel 2007, periodo che ha obbligato tutti a ripensare il proprio modello di business. Crollo dei volumi, parcellizzazione delle consegne, avvento del just in time, boom dell’e-commerce, contenimento delle emissioni nocive da traffico nelle città e necessità di trovare un modo ottimale per condividere le infrastrutture fra trasporto delle merci e trasporto delle persone (collettivo ed individuale) hanno poi quindi messo definitivamente in soffitta un modello che è stato in passato più un esercizio accademico che non un vero modello di sviluppo. 

Ed adesso? Cosa ci aspetta? 
Adesso non potendo più lavorare sulle infrastrutture e cioè sull’hardware del sistema possiamo e dobbiamo concentrarci sul software che è rappresentato dalla tecnologia e dai nuovi modelli di governance. Il futuro è quindi passare dal sistema dei divieti generalizzati per l’accesso nei centri delle nostre città a un sistema premiale che veda in un nuovo modello di logistica collaborativa il modo per ottimizzare la logistica urbana ed allo stesso tempo garantire i livelli di servizio necessari per lo sviluppo delle nostre città. In questo senso possiamo dire che si riscontrano segnali assai interessanti: Anci (Associazione dei comuni italiani) inserisce nella propria Carta di Catania - documento di sintesi programmatico consegnato ai ministri Delrio e Galletti al termine della prima conferenza nazionale sulla mobilità sostenibile - il tema della logistica urbana come fattore di sviluppo dei propri territori e non più solo come un problema di congestione e inquinamento; molte associazioni di categoria costituiscono specifiche commissioni per trattare questo tema con i propri associati in una forma costruttiva, mirando allo sviluppo di contratti di rete in grado di favorire una logistica finalmente collaborativa; il ministero dei Trasporti pone la propria attenzione ai lavori del tavolo nazionale della distribuzione urbana delle merci e la Commissione Trasporti della Camera inserisce negli emendamenti alla cosiddetta Legge Meta proprio quelle modifiche concordate nel tavolo ministeriale e congiuntamente attese da operatori logistici e amministratori locali. Stiamo quindi passando dalla teoria accademica alla pratica di lavoro e questo non può che rendere felice chi, come me, da anni sta lavorando in questo settore per dare finalmente dignità a quel servizio che costituisce davvero la linfa vitale di cui si nutrono le nostre città. 

Potrebbe citare alcuni casi italiani virtuosi di distribuzione urbana delle merci? 
Sono in corso interessanti sperimentazioni per quanto riguarda la gestione di specifiche filiere che meritano una attenzione particolare e i cui risultati, una volta resi noti e certificati, potrebbero essere id grande interesse per la comunità logistica: mi riferisco alle sperimentazioni di Milano sulla filiera del farmaco (FR-evue) o sui veicoli da cantiere (Converse). Alcuni operatori stanno sperimentando in varie città i drop box (depositi in cui lasciare o ritirare piccoli pacchi situati in punti strategici quali stazioni metropolitane o ferroviarie) e la consegna dell’ultimo miglio con tricicli a pedalata assistita, soluzioni interessanti per raggiungere l’obiettivo posto dalla Commissione Europea di una logistica a impatto zero nelle città entro il 2030. Ma se penso a soluzioni di sistema su larga scala non posso non partire da quella città metropolitana che più di tutte ha in questi ultimi anni lavorato sul tema e raggiunto risultati importanti che sono di stimolo anche per le altre arre metropolitane e mi riferisco a Torino. La sensibilità del sindaco Fassino e del giovane assessore alla Mobilità Claudio Lubatti è emersa fin dall’inizio dell’attuale consiliatura. Grazie al loro fattivo impegno, a valle del primo accordo siglato nel 2011 fra ministero dei Trasporti ed Anci, è seguito nel 2012 uno specifico accordo operativo con le aree metropolitane coordinate appunto dal Comune di Torino che ha generato l’istituzione di gruppo di lavoro ministeriale a cui partecipano, insieme ai rappresentanti del ministero, le aree metropolitane di Torino, Milano, Bologna, Genova, Roma, Napoli, Anci, TTS Italia e Uniontrasporti. Da questo accordo nazionale è poi derivato nel 2013 uno specifico protocollo d’intesa attuativo dei principi contenuti nell’accordo nazionale tra la Città di Torino, la Camera di Commercio e 17 associazioni del settore per la razionalizzazione delle merci in città. L’accordo è fondato sul principio di premialità di utilizzo delle infrastrutture della città in cambio di investimenti privati sulle attività logistiche. 

Cosa significa in pratica?
Agli operatori privati viene chiesto di dotarsi di veicoli a basso impatto ambientale tracciati attraverso dispositivi di bordo di loro scelta agganciati a una centrale anch’essa di loro scelta. In tal modo il comune li "accredita" al servizio. In cambio il comune garantisce condizioni più favorevoli per lo svolgimento del servizio quali ad esempio orari più ampi di accesso alla ZTL, utilizzo di aree di carico/scarico dedicate, utilizzo di corridoi radiali per accesso al centro della città. Nessun costo aggiuntivo per la collettività, nessun finanziamento pubblico, nessuna alterazione del mercato, nessuna distorsione della concorrenza. A partire dal 2014 il sistema è in fase di calibrazione prima di entrare a regime entro l’anno per testare l’impatto delle misure premianti riservate agli operatori che decidono liberamente di sottoscrivere un patto di qualità con la città, ricevendone un vantaggio operativo testimoniato da questi risultati entusiasmanti certificati in modo oggettivo da sistemi di bordo dei veicoli e quindi non stimati da modello, ma osservati nella quotidianità del lavoro in termini di sostenibilità ambientale (diminuzione della produzione della CO2, - 2 kg/giorno per veicolo cioè – 0.4 t/anno il che vuol dire per una città come Torino – 2.800 t/anno da traffico commerciale concentrata nella ZTL), sostenibilità economica (aumento delle consegne del 53% e della velocità media del 20% (31km/h); l’incremento di produttività vale circa 20.000 € anno/veicolo se si considera che l’ammortamento del veicolo è di 5 anni per l’operatore professionale è sostenibile l’acquisto di un veicolo elettrico per la propria operatività), sostenibilità sociale (attivazione di un processo di progettazione partecipata con cittadini, imprese e camera di commercio, attivazione di un ecosistema di operatori logistici sincronizzati e coordinati (logistica collaborativa), condivisione delle strategie di sviluppo della città, maggiore sicurezza e monitoraggio del territorio)

Quali gap il nostro Paese deve colmare rispetto a quanto avviene in altre parti dell’Ue? 
La strategia dell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile, prevede che il sistema dei trasporti debba “rispondere alle esigenze economiche, sociali e ambientali della società, minimizzandone contemporaneamente le ripercussioni negative sull’economia, la società e l’ambiente. Gli obiettivi al 2020 della politica comunitaria per il clima e l’energia - ossia la riduzione dei gas serra di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, l’incremento dell’uso delle energie rinnovabili fino al 20% della produzione totale di energia e la diminuzione del consumo di energia del 20% rispetto ai livelli previsti per il 2020 grazie a una migliore efficienza energetica – prevedono un contributo importante dal settore dei trasporti: questi sono infatti, responsabili di circa il 40% delle emissioni di gas serra dei settori non soggetti al sistema europea di scambio delle emissioni (ETS), le cui emissioni complessive dovranno ridursi del 13% entro il 2020. Inoltre, il 10% del carburante usato per i trasporti stradali dovrà provenire da fonti rinnovabili, i biocarburanti dovranno rispettare determinati criteri di sostenibilità e il livello medio di emissioni di CO2 di tutte le auto nuove, dovrà raggiungere i 130 g/km entro il 2014; infine, le attività di trasporto aereo verranno incluse nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra. In questo quadro il gap principale è, purtroppo, nel sistema delle regole, sistema che noi facciamo sempre un po’ fatica ad accettare rispetto a quanto avviene negli altri Paesi. 

Può esplicitare meglio quest'ultimo concetto?
La logistica urbana nel nostro Paese è di fatto gestita da un numero ristretto di grandi player anche internazionali i quali, per svolgere di fatto il servizio e le consegne, si servono di un numero elevato di piccoli e piccolissimi artigiani (operatori monoveicolari). Su 90.800 imprese di autotrasporto attive, il 68% è costituito da aziende artigiane. A queste vanno aggiunte altre 40.000 attività che – essendo prive di mezzi – svolgono sostanzialmente un’attività di intermediazione. In questo settore ci sono circa 450.000 addetti e l’ultimo censimento Istat (anno 2011) sulle imprese e i servizi ha indicato in 4,3 il numero medio di addetti per impresa del trasporto merci su strada. Quindi si tratta di un settore consistente, fondamentale per la nostra economia, ma fortemente frammentato. Questo mercato così frammentato rende gli operatori stessi poco efficienti per definizione e quindi il sistema cerca di continuo delle soluzioni che possano abbattere i costi di esercizio, impedendo il rilancio del settore, la sua riqualificazione e – direi – la sua evoluzione verso un modello a servizio delle grandi megalopoli del futuro. All’estero si sta investendo nel capitale umano delle aziende di logistica, favorendo una collaborazione orizzontale (anche fra competitor) e verticale (di filiera), integrando competenze e professionalità al fine di offrire un servizio sempre più rispondente alle necessità dell’industria 4.0 (industria che produce solo su sollecitazione del cliente con un elevatissima integrazione fra fornitori e azienda stessa) e dei cittadini che sempre più si concentrano nelle aree urbane. Solo dopo aver creato un humus favorevole di questo tipo sarà possibile sfruttare appieno l’impatto delle nuove tecnologie, dell’internet of things, governando appunto il sistema non invece subendone gli effetti. 

Che ruolo può giocare un'associazione come Assologistica in questo contesto?
All’estero molti operatori logistici, ad esempio nel settore delle forniture mediche, si stanno riposizionando sul mercato offrendo servizi diversi anche in relazione all’impatto che avranno i nuovi sistemi di stampa 3D ma in Italia non vedo questa lungimiranza imprenditoriale, forse a causa dei problemi contingenti di sopravvivenza delle aziende che dirigono tutta la loro attenzione sui fondi per l’autotrasporto e sulla ripartizione degli stessi. Forse sarebbe il caso che le associazioni di categoria li aiutassero a vedere oltre, magari ripensando il modello di business su cui si è fondato il settore dal dopoguerra ad oggi e cioè quello degli incentivi alla offerta di trasporto. C’è da dire che all’estero già da tempo hanno spostato gli incentivi dall’offerta alla domanda di trasporto consentendo in questo modo al libero mercato di fare il suo corso, premiando nuovi servizi e relegando quelli obsoleti a quote di mercato residuali. 

Quanto incide la componente logistica tout court e quanto quella tecnologica su un buon progetto di city logistics? 
Il trasporto va pensato come un sistema integrato e dinamico nel quale informazione, gestione e controllo operano contestualmente al fine di ottimizzare l’utilizzo delle infrastrutture e di organizzare al meglio i flussi di traffico. I governi di tutto il mondo e le realtà industriali hanno preso atto del potenziale dei Sistemi Intelligenti nel trasformare il futuro della mobilità, in cui veicoli, infrastrutture e passeggeri sono connessi. Gli operatori del settore potranno inviare e ricevere informazioni in tempo reale su opzioni di trasporto, rischi, condizioni di traffico e tutte le altre informazioni utili a ottimizzare le condizioni di trasporto. Puntare sull’innovazione in tale ambito significa permettere ai cittadini di vivere a 360°, ottimizzando le risorse, migliorando la sicurezza, offrendo più servizi, un alto livello sostenibilità, qualità della vita e competitività. Ricordo che per il nostro Paese la smart mobility può valere fino a cinque punti di PIL, ottenibili riducendo le diseconomie, liberando tempo e sviluppando nuove filiere industriali; è quanto emerge da uno studio condotto da The European House Ambrosetti per conto di Finmeccanica. 

Come ottenere questi punti percentuali?
La premessa irrinunciabile per raggiungere questo risultato risiede nella capacità di coinvolgere tanto le istituzioni quanto le persone, in politiche che sappiano guardare oltre le emergenze attuali del settore con un ottica al medio-lungo periodo. L'innovazione tecnologica può essere "fattore abilitante" per raggiungere questo obiettivo d’integrazione e per un più razionale uso delle risorse, specie nella situazione attuale di crisi della finanza pubblica. Molte delle realizzazioni ITS fatte, sono attive e funzionanti ma non sfruttate in tutte le loro potenzialità; tipicamente funzionano in modalità “stand alone". Si tratta quindi d’individuare i raccordi funzionali tra le soluzioni disponibili e valorizzarne i dati e le informazioni, creando maggiore valore. Inoltre, occorre svolgere un’ampia riflessione sui motivi che non hanno portato ancora al successo di alcune soluzioni ITS nation-wide, soprattutto legate alla logistica merci. D’altro canto però se la tecnologia che non si innesta in un modello di business solido è assolutamente inefficace, se non dannosa. 

Ma torniamo alla componente tecnologica e a quella logistica ...
La tecnologia amplifica le opportunità di un operatore ben strutturato e presente sul suo mercato consentendogli di raggiungere clienti o partner che in passato non avrebbe potuto incontrare. Pertanto posso senza dubbio affermare che – nel caso appunto di un operatore ben strutturato con procedure chiare e flussi di informazioni e merci definiti – la tecnologia è il fattore abilitante verso il raggiungimento degli obiettivi di business. Diciamo, volendo dare dei numeri, 70 logistica e 30 tecnologia, questo i pare un buon mix. 

PA e mondo politico quanto possono influire sul buon esito di una progetto di city logistics? 
Sviluppare e adottare in modo deciso e diffuso sull’intero territorio nazionale un modello di governance sostenibile e applicabile nei progetti di distribuzione urbana delle merci, definendo al meglio la separazione fra ente regolatore, soggetto attuatore e player di mercato è una priorità assoluta per l’intero settore. Il modello di governance per una gestione sostenibile dei progetti di distribuzione urbana deve essere coerente con gli interessi e con la tipologia del modello operativo adottato dai trasportatori, anche se purtroppo questo spesso non avviene ed è proprio in questo contesto che il ruolo della PA diventa cruciale. Alcune delle iniziative attuate in Italia per regolamentare la distribuzione urbana delle merci hanno avuto risvolti anche di carattere legale, proprio perché non sono state attuate politiche che tutelavano la libera concorrenza tra gli operatori logistici. Se da un lato i Comuni chiedono quindi agli operatori della filiera logistica di fare la propria parte investendo in qualità (cioè su veicoli a ridotte emissioni, sulla formazione degli operatori, sul livello di servizio fornito) e in innovazione (cioè ancora sui veicoli ma questa volta in termini di dotazione di sistemi ITS), dall’altro debbono garantire una specifica premialità nell’utilizzo delle proprie infrastrutture attraverso un sistema di regole certo e costante per un periodo industrialmente significativo (di almeno 5 anni). 

E come dovrebbe essere questa "premialità"?
Una premialità “selettiva" che va a gratificare - rendendo l’operatività quotidiana dei soggetti accreditati sempre più produttiva - coloro i quali hanno scelto di aderire a questo patto investendo sulle proprie attività. Il ritorno degli investimenti avrà quindi un andamento decrescente nel tempo: infatti, a chi investe da subito sul proprio business, è garantita una premialità d’uso del territorio cittadino cui corrisponde un aumento della produttività (come emerge dai risultati di Torino) superiore al 50% e una contestuale diminuzione dei costi di esercizio. L’indicazione che viene da questo nuovo modello di governance è, in sintesi, una maggiore produttività con conseguenti risparmi per gli operatori logistici, una maggiore efficienza e rapidità per i destinatari delle merci, un minore inquinamento e congestione - anche in termini di occupazione del suolo pubblico - per il comune e per la collettività. Per rendere questo cambiamento di prospettiva - investimenti privati in cambio di premialità pubblica – stabile e definitivo c’è quindi la necessità che la Politica faccia la sua parte nel percorso che va verso la creazione della smart logistics, garantendo un sistema di regole e di leggi abilitanti allo sviluppo di un ecosistema in cui veicoli ed infrastrutture siano in grado di comunicare e d’interagire in modo proattivo ed in tempo reale. 

Quali sono gli obiettivi della commissione tecnica "City logistics" di Assologistica di cui lei è membro?
Il tema della distribuzione urbana delle merci è sicuramente un argomento strategico soprattutto come leva per il rilancio della ripresa economica sia in termini di occupazione sia di PIL. In questi ultimi anni la sensibilità agli standard delle attività che generano inquinamento e/o congestione è cresciuta a livello locale e la governance della logistica urbana è diventata un tema di interesse primario, oggetto di sperimentazioni e nuove discipline in un numero crescente di Comuni che hanno attivato con risultati diversi misure per la regolazione degli accessi (permessi, ZTL, fasce orarie, standard ambientali dei veicoli), tecnologie di controllo, infrastrutture dedicate, in combinazioni diverse e con esiti diversi. All’aumento di frequenza delle consegne è corrisposta una riduzione dei quantitativi delle singole consegne. L’effetto congiunto di queste due tendenze determina un maggior traffico di distribuzione; genera ulteriori elementi di conflittualità tra la componente passeggeri e quella merci della mobilità urbana, sia relativamente alla circolazione sia alla sosta; concorre ad alimentare la congestione e l’inquinamento in ambito urbano. Ed è proprio in questo scenario particolarmente sfidante che la commissione intende proporre ai decisori politici locali e centrali, alle parti sociali, ai propri associati, al mondo della ricerca, ai grandi player industriali e ai cittadini la propria visione del mercato distributivo suggerendo, attraverso il proprio lavoro puntuale, possibili soluzioni e misure che tengano conto non solo e non esclusivamente dei legittimi interessi di parte di un associazione rappresentativa come Assologistica, ma anche contribuire a disegnare una visione sulla quale incardinare lo sviluppo futuro delle nostre smart cities.


A cura di Ornella Giola

Share :