L’emergenza Covid19 ha colpito l’Italia, segnando profondamente i territori in cui viviamo. I nostri intorni, i nostri paesi sono feriti e richiedono aiuto, il nostro contributo per riprendersi. I territori crescono esprimendo le proprie potenzialità attraverso la propensione all’intraprendere, le competenze diffuse, lo spirito proattivo di chi li amministra, li abita, li vive e li fa vivere.
GLI INVESTIMENTI CHE CI OCCORRONO
Solo sulla base di questi presupposti le opportunità si colgono, e si potranno cogliere, attraverso il radicamento di iniziative – siano esse infrastrutture, investimenti pubblici o scelte imprenditoriali - che altrimenti sovente si cristallizzano, per non appartenenza, nel limbo dei “non luoghi". Serve quindi puntare su investimenti infrastrutturali e per raccogliere appieno gli effetti di tali opportunità occorre innovare gli approcci ancor prima dei processi. Innovare – mi insegnava Giovanni Leonida - significa ricombinare processi vecchi per ottenere nuovi risultati. Chi innova non inventa, chi innova smonta e rimonta esperienze.
INNOVARE, INNOVARE E ANCORA INNOVARE
In questo momento di crisi la capacità di innovare, di guardare al futuro attraverso gli occhiali dell’esperienza dev’essere la nostra stella polare. Quanto accaduto credo imponga un esame di realtà e il coraggio di fare scelte inedite Alcune storture del “sistema Italia" – già mal sopportate nella normalità – son diventate oggettivamente intollerabili nella emergenza. Abbiamo assistito a cosa abbiano prodotto anni di stratificazioni normative e incongruenze burocratiche e amministrative e – aggiungo – l’incuria verso il racconto del Paese reale. Ebbene occorrerà ripartire da lì.
LA SAGGEZZA NON CI MANCA, DA ESSA OCCORRE PARTIRE
Abbiamo la fortuna di avere negli occhi un esempio limpido: la ricostruzione del ponte sul Polcevera a Genova. Un’impresa fantastica riuscita grazie a coraggio, determinazione, competenza e semplificazione amministrativa; in sintesi: innovazione di approccio e di procedure. Ripartire da questo modello sarebbe saggio; significherebbe mettere in discussione un modus operandi e numerose rendite di posizione oggettivamente ormai desuete. Noi della logistica in quest’ottica rappresentiamo un settore, uno dei pochi, in grado di guardare al futuro con fiducia.
UN SETTORE CHE VALE
Certamente anche il nostro comparto – che è eccezionalmente ampio ed eterogeneo, non dimentichiamolo – ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo alla pandemia; ma se non altro la logistica ha dovuto e saputo affrontare la crisi dimostrando sia la propria valenza, direi imprescindibile, sia la propria innata capacità di fronteggiare gli imprevisti.
Secondo una recente indagine di Unicredit – pre crisi covid19 - in Italia operano 150.000 imprese nel settore della Logistica e del Trasporto merci, generando oltre 70 miliardi di fatturato. Un settore in crescita costante – oltre il 5% medio negli ultimi sei anni – trainato anche dall’e-commerce che nel nostro Paese nel 2019 ha registrato un aumento del 17% (il 22% a livello europeo). Attendiamo i dati post emergenza che paiono in questa nicchia in crescita significativa.
ANCHE NELL’IMPORT-EXPORT LE CERTEZZE CONTANO
L’area più colpita dal virus in Italia - la cosiddetta RLM (Regione Logistica Milanese) come l’ha ben delineata il prof. Dallari – racchiude da sola oltre il 30% del mercato nazionale del settore, anche grazie ai tanti collegamenti intermodali attestati con il centro/nord Europa in generale, con la Germania in particolare.
Ebbene: l’interscambio commerciale tra Italia e Germania è arrivato nel 2018 a 128 miliardi di euro, in crescita di quasi 4 punti percentuali, toccando il 13% del nostro export complessivo; ancora maggiore, circa il 17 %, il dato dell’import.
A tal proposito una riflessione: si sente sovente parlare di “Via della seta"…. Ricordo a me stesso che Germania, Olanda e Belgio valgono in import 4 volte la Cina; nell’export quasi 6 volte. Certo si tratta di mercati maturi, poco sviluppabili. Ma i numeri e le certezze contano, specie in certi momenti.
INTERMODALITA’ ED EFFICIENTAMENTO, SCELTE VIRTUOSE
Ebbene buona parte questo flusso “europeo" attraversa la Svizzera, un paese che ha scelto di ridurre il traffico stradale di merci (è già sceso del 33%, un risultato ritenuto “non sufficiente"…) e che ancora nei mesi scorsi ha confermato sia incentivi al trasporto intermodale per oltre 80 milioni di euro fino al 2026, sia lo sconto dei pedaggi ferroviari.
Questa è la base da cui partire, è lo scenario di riferimento.
Uno scenario che dimostra, ove ancora occorra, come l’intermodalità e più oltre l’efficientamento della logistica, in ottica di sostenibilità, possano rappresentare anche in Italia scelte virtuose ancor prima che investimenti strategici Scelte su cui è possibile incardinare partnership pubblico/private, attraendo risorse con effetti anticiclici e con significative ricadute sia in termini di valore aggiunto sia occupazionali.
LE IMPRESE ITALIANE HANNO FAME DI LOGISTICA
L’industria, la manifattura e il commercio dei nostri territori hanno fame di logistica? Si, centinaia di migliaia di contenitori ogni giorno transitano in import e export nelle nostre regioni alimentando la produzione e la distribuzione dei prodotti del nostro Paese. Avvicinare il mondo dell’impresa alla logistica è un obiettivo che ci siamo posti in molti contesti istituzionali, tavoli a cui sediamo per accogliere i bisogni e dove portiamo possibili soluzioni affinché una gestione consapevole e condivisa della supply chain crei vantaggi competitivi.
Un percorso sfidante in un tessuto manifatturiero in cui predomina la vendita franco fabbrica che, non dimentichiamolo, è stata fortemente contrastata da parte dei paesi del nord Europa nel corso dell’ultima revisione degli Inconterms.
Personalmente ritengo velleitario chiedere o peggio pretendere che le nostre imprese, nel 90 % dei casi con meno di 20 dipendenti, adottino altri termini di resa: il franco destino, o fosse anche solo il Fob.
E’ auspicabile invece – più realisticamente - che una innovativa politica dei trasporti, anzi una strategia logistica nazionale – con soluzioni premiali - possa mettere a disposizione delle aziende italiane soluzioni ad hoc per incentivare la terziarizzazione, liberando risorse re-investibili nel core business, nell’innovazione.
DI COSA HA BISOGNO IL NOSTRO PAESE?
Le strade, le autostrade, le città e l’aria che respiriamo hanno bisogno di intermodalità? Si, ciascun treno terminalizzato nei centri intermodali riduce di decine di tonnellate le emissioni di Co2. Ma ancor più lo shift modale marca fortemente un segno in termini di riduzione di congestione e incidentalità agendo pertanto su costi sociali, spesso trascurati, ma ingenti. Ovviamente occorre incentivare il passaggio di modalità intervenendo puntualmente sulle barriere di accesso: penso per prima cosa ai costi di manovra nei porti e ad un bonus per i tiri gru negli inland terminal come già sperimentato con successo in Francia.
Il nostro Paese ha bisogno di centri logistici raccordati? Si. In Europa e in Italia sono in corso imponenti efficientamenti delle reti ferroviarie; senza terminal adeguati saranno autostrade senza caselli. I territori e i loro distretti manifatturieri per mantenere la competitività, o ridurre il gap esistente, devono essere allineati dal punto di vista infrastrutturale agli standard prestazionali delle eccellenze europee.
ORIZZONTI DI CRESCITA E FORMAZIONE
Tutto questi sono orizzonti di crescita, di business e di occupazione, sin in termini quantitativi che qualitativi
Occupazione che, declinata in spirito innovativo, significa prevedere formazione.
I servizi logistici, richiedono molteplici professionalità; sia negli impieghi diretti sia nell’indotto primario e secondario, secondo la classificazione olandese, che condivido. Occorrono quindi competenze eterogenee, anche e soprattutto nei livelli intermedi. Anche in questo caso credo vada fatto uno sforzo comune, un percorso di cultura del lavoro. Un cammino che ad esempio la Regione Lombardia, facendo propria la recente indagine sulle ricadute occupazionali della logistica condotta da GI Group con Assologistica, ha già intrapreso.
Ora bisogna insistere e concretizzare gli impegni, anche in altri territori, soprattutto alla luce delle dinamiche occupazionali negative che – spero di essere smentito, ma temo di essere facile profeta – ci troveremo a fronteggiare.
Le imprese ferroviarie cercano macchinisti, gli MTO non trovano più autisti ne impiegati, i centri intermodali cercano gruisti e operatori terminalistici. Nei servizi ancillari si apre poi un mercato pressoché nuovo ad alta specializzazione.
Occorre formazione specifica, occorre crescere una generazione di logistici. Oggi – dopo il lockdown – molti hanno consapevolezza del valore dela logistica, della sua importanza, della sua complessità e magari – perché no – anche della sua “bellezza".
Il momento può essere propizio.
UMBERTO RUGGERONE, Vice-presidente di Assologistica