31/05/2025

Il paradosso dei dazi: l’effetto front loading che alimenta il caos nei commerci globali

L’introduzione (o anche solo la minaccia) di nuovi dazi dovrebbe frenare gli scambi internazionali. In realtà, nel breve periodo accade l’opposto: le aziende accelerano gli acquisti per anticipare le nuove tariffe. È il cosiddetto front loading, un fenomeno che sta oggi distorcendo le dinamiche del commercio globale, soprattutto negli Stati Uniti.

La sola elezione di Donald Trump, con la promessa di nuovi dazi, ha scatenato una corsa alle importazioni: +12,3% a gennaio rispetto a dicembre, +25% su base annua. Il deficit commerciale USA è aumentato del 34% in un solo mese, superando i 130 miliardi di dollari.

I settori più colpiti sono quelli ad alta integrazione globale, come l’automotive. A febbraio, le spedizioni di veicoli verso gli USA sono aumentate del 22% dall’Europa, +14% dal Giappone e +15% dalla Corea. Cresciute anche le importazioni di componenti: +150% per carrozzerie e telai in un solo mese.

Ma il front loading riguarda anche beni durevoli e alimentari. Massicce importazioni di tequila dal Messico, vini italiani venduti in anticipo e ora bloccati nei porti per paura che non arrivino in tempo prima di eventuali dazi al 200%.

Questo comportamento, seppur razionale nel breve termine, aggrava le distorsioni di mercato: aumenta la domanda, spinge in alto i prezzi (come accaduto al rame, +11% in un mese), congestiona porti e spedizionieri, e fa impennare il costo delle spedizioni (il Baltic Dry Index è raddoppiato da fine gennaio).

In sintesi, il front loading non neutralizza gli effetti dei dazi: li anticipa, li amplifica e li rende ancora più destabilizzanti.

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